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Giulio Paolini "Carte segrete"

Sede della mostra: Via della Mercede 12/a, 00187 Roma, ingresso scala principale, 3° piano.

Durata della mostra: dal 6 novembre 2004 al 10 gennaio 2005

Orari: lunedì - venerdì 10:00 - 13:00, 16:30 - 19:30. Sabato su appuntamento.

Sabato 6 novembre la galleria rimane aperta dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.


Il 6 novembre si apre alla Galleria dell'Oca la mostra di Giulio Paolini intitolata "Carte segrete". La mostra, immaginata dall'artista per questa circostanza, raccoglie tredici opere collocate nelle quattro stanze della galleria.

Di Giulio Paolini (Genova 1940), uno degli artisti italiani più acclamati nel panorama artistico internazionale, personalità di rilievo nell'ambito del movimento torinese dell'Arte Povera, dal quale si distingue per una connotazione più marcatamente concettuale, la Galleria dell'Oca, nel corso degli anni, ha ospitato tre mostre. La prima nel 1968 con il titolo "Opere grafiche", nel 1979 la mostra "Le Tre Grazie" ed infine nel 1991, insieme a Jannis Kounellis, la mostra intitolata "Metafore".

Per parlare della mostra Carte segrete pubblichiamo una lettera di Giulio Paolini, nella quale con efficace sintesi la descrive.

‹‹ ... ecco qualche appunto preliminare riguardo alla mostra che prevediamo di inaugurare
a novembre. [ alla Galleria dell'Oca]
Si intitola Carte segrete (dall'opera più recente, inedita, realizzata per l'occasione) e raccoglie altre dodici opere ( tutte riferite alle carte, ma non propriamente "carte") di date composite e dunque riunite, riprese e rielaborate per questa mostra (qualcuna esposta qui per la prima volta).

Un percorso tematico, ma aperto ed esteso... Il "senso della visita" sembra procedere per sottrazione: dalla prima sala che accoglie cinque opere, si passa alla seconda dove se ne trovano quattro, tre sono ospitate nella terza e una sola opera ci congeda dalla quarta e ultima sala ››.

Opere esposte

Prima stanza
1 - --Il nome proprio, 1986 - 2004
2 - --Contemplator enim, 1991 - 2004
3 - --Polvere, 1994
4 - --Le chiavi del museo, 2004
5 - --Identikit, 2003

Seconda stanza
6 - --Voyager (IV), 2004
7 - --Solitaire, 2004
8 - --Dentro e fuori, 1999 2004
9 - --Off limits, 1999 - 2003

Terza stanza
10 - Circolo degli artisti, 1999 - 2004
11 - Carte segrete, 2004
12 - Notti bianche, 1994

Quarta stanza
13 - Requiem, 2003 - 2004


Alleghiamo il testo inedito di Caterina Bonvicini Il caos perfetto: un ritratto di Giulio Paolini scritto in occasione di questa mostra.

Il caos perfetto

Un tavolo di cristallo vuoto come un foglio bianco. Quattro matite allineate. Una squadra e un righello. Il compasso nel portapenne. Due scrivanie anni trenta disposte a elle, una macchina da scrivere del dopoguerra. Giulio Paolini - la pianta della stanze di via della Mercede stesa davanti a noi - m'invita a visitare con il pensiero la mostra che ci sarà. E' come essere ospite dei suoi scritti: si tratta di un viaggio mentale, cartesiano nelle spiegazioni e vertiginoso per il gioco di rimandi.

Ma questo Paolini, un po' Disegno geometrico, che racconta essenziale e diritto come una diagonale, nel suo studio ordinato, disponendo le idee come specchi per restituirmi la complessità di un progetto (la mostra esiste solo sulla carta: intorno a noi ci sono appena due tele bianche appoggiate alla parete, recto e verso, una colonna di plexiglas, tre cataloghi sul tavolo), questo Paolini così Paolini, mi chiedo, non sarà solo una delle tante immagini possibili di Paolini?

L'Autore è una figura elegante e discreta, non eccentrica, composta. Fin qui, non ci sono dubbi. Ma potrebbe essere una prima lettura. Allora faccio un tentativo, che è un po' un azzardo: provo a rovesciarlo dalla parte del telaio.

Prima però - per non tradire l'universo letterario dell'artista, in cui ho scelto di muovermi - devo svelare il mio sguardo. Guardo attraverso il libro che mi ha formata: I Pittori dell'Immaginario di Giuliano Briganti. La mostra poteva essere ovunque e io posso guardare solo così. In questo caso però, la mostra non è ovunque. E io guardo così proprio nelle stanze di via della Mercede. E' una coincidenza, ma piena di valore: il gioco si fa ancora più paoliniano.

Quindi penso ai due volti dell'Illuminismo. C'è il lato solare, geometrico, e quello notturno, saturnino. E il grande fascino sta nella loro convivenza. Quando cerco di immaginare Giulio Paolini dalla parte del telaio, mi viene in mente l'altro côté del Settecento, l'ombra della geometria.

Già al nostro primo incontro, avevo sentito il bisogno di interrogarlo al contrario, cioé sul caos, disegnando a matita un piccolo punto interrogativo accanto a una frase che si legge in Idem. "Lo scrittore", dice Calvino, "guarda il mondo del pittore, spoglio e senza ombre, fatto solo di enunciati affermativi, e si domanda come potrà mai raggiungere tanta calma interiore". In certe opere, non vedevo calma interiore: ho chiesto spiegazioni. Giulio Paolini mi ha risposto che, effettivamente, quando Calvino ha scritto La squadratura, nel '75, certe inquietudini non erano ancora comparse. In quegli anni il suo lavoro si fondava sull'analiticità e procedeva con una scorrevolezza e un distacco davvero senza ombre. Soltanto dopo, intorno agli anni Ottanta, comincia a manifestarsi un disequilibrio degli oggetti.
Oggi, quella risposta mi sembra ancora più rivelatrice. Non saprei spiegarmi altrimenti la tragicità di un'opera come Requiem.

A questo punto però, sento il bisogno di fare un passo indietro. Di tornare all'analisi anch'io, alla fase di scomposizione. E di indagare sulla natura di questo caos. Perché è un caos molto particolare, quello che mette in scena Paolini, in continuo dialogo con l'ordine.

Un caos perfetto, lo definirei, nel senso etimologico di finito, circoscritto, ovvero sorvegliato da limiti. E guai se non ci fossero, quei limiti. Se ne avverte la presenza addirittura fra un'opera e l'altra, come se all'inquietudine massima di un lavoro, Requiem per esempio, dovesse per forza seguire una boccata d'aria e di linearità, cioé un'opera come Carte segrete, di poco successiva, che contiene la sua piccola dose di caos, certo, però nel cuore di una struttura geometrica rigorosamente trasparente. Come se ci fosse una bilancia nascosta insomma, interna alla singola opera e nella continuità del fare artistico. Quindi un dialogo, armonioso e insieme spietato, fra opposti, in cui i due elementi, ordine e caos, necessari l'uno all'altro, si confrontano senza tregua alla ricerca di una misura. Con una differenza, però: l'ordine può anche prendere il sopravvento, il caos mai.

Un cammino spesso ironico e sempre dominato dalla lucidità dell'analisi, quello di Paolini. Eppure, ogni tanto, si presenta - improvvisa - la spezzatura drammatica.

Fogli di carta accartocciati e disperatamente buttati intorno a una scrivania, sparsi come dubbi in Big Bang. Cancellature e scarabocchi distinguono le pagine strappate di Giro di boa, resti di una lettera che Ebe non può più tenere con due dita, che non è né finestra né specchio, e sta ai piedi di un uomo che si copre il viso con le mani. Templi franati (Selinunte), dei moderni che precipitano a terra (Voyager). Vetri rotti in Passatempo, frammenti di un'immagine che scappa dalla cornice in Identikit, una lente che non è più cannocchiale o obiettivo fotografico, da considerare in sé, ma spettatrice di qualche granello di polvere (Polvere). Fino all'"ospite inatteso e forse inopportuno" della Querini Stampalia, quel corpo assente di visitatore, di cui restano solo gli abiti e un tricorno caduto a terra, che ha perso l'equilibrio e si è ritrovato a testa in giù, nell'indifferenza dei quadri e degli arredi del museo (Capogiro). Uno sguardo rovesciato quindi, in qualche modo più incerto davanti alla complessità del mondo, che forse, con il passare del tempo, risulta sempre meno misurabile.

L'Autore - rigorosamente anonimo - sembra dividersi in tante figure, sfuggenti come lancette di un orologio (Circolo degli artisti), disposte intorno a un tempo circolare che è ancora quello del San Sebastiano, ma con l'aggiunta di uno scarto verso la molteplicità. Nello stesso modo sembra dilatarsi l'assenza, molto oltre i confini di un riquadro, nell'Arianna abbandonata che esce dalla cornice curva del pianoforte.

E' così che guardo Requiem: toccata ma non sorpresa. Forse ha una storia dietro, mi dico. E la leggo come la più commovente testimonianza di questa dualità, l'apice del conflitto fra ordine e caos. Un'opera quasi nuda, fragile, persino emotiva - sono parole così poco paoliniane, eppure - che punge lo spettatore (è il punctum di Barthes) come una verità sconvolgente. Quasi inaccettabile, se il pubblico ama (o trova rassicurante) vedere Paolini troppo Paolini. Ai miei occhi, la contraddizione ha una sua impareggiabile bellezza.

Caterina Bonvicini

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